Oltre a quella di Guerre Stellari, un’altra mostra da non perdere a Roma, in scena sempre nelle sale del Complesso del Vittoriano, è quella dedicata ad Edward Hopper, visitabile fino al prossimo 12 febbraio 2017.

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Edward Hopper è uno dei più celebri artisti del Novecento, uno dei massimi vertici dell’arte pittorica americana. Considerato tra gli ispiratori di quel movimento realista che contribuisce in modo significativo all’affermazione di un’arte propriamente nazionale, le opere di Hopper sono diventate simbolo dell’America a lui contemporanea, opere potenti, di grande impatto emotivo.

C’è chi lo ritiene un narratore di storie e chi, al contrario, l’unico che ha saputo fermare l’attimo di un panorama, come di una persona. Lo stesso Hopper, con una sua affermazione, chiarisce la sua poetica: “Se potessi dirlo a parole, non ci sarebbe alcun motivo per dipingere”.

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Non vi nascondo un certo e strano piacere nel passeggiare tra le sale del Vittoriano, ammirando le opere di questo artista. Opere che possiamo ammirare grazie all’accordo con il Whitney Museum of American Art di New York, che le ha gentilmente messe a disposizione.

La mostra è suddivisa in sei sezioni: ritratti e paesaggi, disegni preparatori, incisioni e olii, acquerelli e immancabili immagini di donne, sono tutti i protagonisti della retrospettiva romana. Narrando l’incredibile potenzialità dell’esperienza quotidiana che caratterizzò la sua opera, l’esposizione vuole essere una vera e propria “cifra hopperiana”, ereditata in molteplici campi dell’espressione visiva che hanno reso i suoi quadri poster, copertine di libri e citazione cinematografiche.
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Edward Hopper si distingue e si rende riconoscibile per la sua capacità di fotografare e trasformare in quadri i tratti e i modelli del mito americano. Ieri come oggi amato da diverse categorie di appassionati, nonostante – o forse proprio per questo – nella sua lunga carriera abbia perseguito una posizione fortemente “anti-avanguardista”.
Tra i suoi soggetti favoriti vi sono scorci di vita nei tranquilli appartamenti della middle class, spesso intravisti dietro le finestre durante i suoi viaggi, immagini di tavole calde, sale di cinema, divenute delle vere e proprie icone, come testimoniano alcuni celebri capolavori in mostra.
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Hopper realizza anche notevoli acquerelli durante le estati trascorse a Gloucester (Massachusetts), nel Maine, e a partire dal 1930, a Truro (Cape Cod Sunset, 1934). Opere che raffigurano dune di sabbia arse dal sole, fari e modesti cottage, animati da contrasti di luci ed ombre. Dipinti che evocano sempre delle storie, pur lasciando irrisolte le azioni dei personaggi.
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Vi lascio con una sua frase simbolo: “È all’inizio che bisogna andare lenti, quando si comincia, per tracciare una composizione impeccabile in modo da non dover aggiungere e sottrarre dopo”.
Da oggi rientro anche io nella schiera dei suoi fan! E voi? Cosa aspettate a visitare la mostra? Avete tempo fino al 12 febbraio!
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